LA APPLE CONNECTION


DI WALDEN BELLOForeign Policy In Focus

Sin dall’inizio dell’attuale crisi economica globale, il centro dell’analisi critica e dell’odio pubblico è stato il capitale speculativo. Nella narrativa populista, sono state le impressionanti trappole delle banche in un’atmosfera di deregolamentazione che hanno portato al collasso economico. L’”economia finanziaria“, etichettata come parassita e maligna, è stata contrapposta all’”economia reale“, quella che produce beni e ricchezza reale. Le risorse sono fluite in attività speculative della finanza, provocando una perdita di dinamismo nell’economia reale e portando alla fine a una contrazione del credito all’apice della crisi, causando bancarotte e licenziamenti massicci.

Calamaro vampiro contro Galahad corporativo?

Il principale villano in questa narrativa è Goldman Sachs. L’immagine di questo abitante di Wall Street è stata registrata nella mente pubblica dalla descrizione di Matt Taibbi, quella di “un grande calamaro vampiro avvolto attorno al viso dell’umanità, che instancabilmente blocca i suoi vasi sanguigni appena sente l’odore del denaro.”

In questa racconto, l’antica nemesi degli analisti progressisti, la multinazionale (CTN) si muove silenziosamente sullo sfondo. Per certo, viene considerata una parte dell’economia reale, come implica il termine comunemente utilizzato di “azienda non finanziaria”. In contrasto con la banca di investimenti che creda prodotti fittizi come I derivati, si dice che le multinazionali creano veri prodotti, come gli iPad e gli iPhone di Apple. Mentre Goldman Sachs è presentato come un calamaro vampiro, Apple viene descritta come un Galahad corporativo su cui si può contare affinché soddisfi i desideri più strampalati del consumatore. In un sondaggio, il 56 per cento degli statunitensi non ha associato niente di negativo ad Apple.

Una recente serie in due parti del New York Times su Apple, tuttavia, ci ricorda che le multinazionali e le loro pratiche di delocalizzazione dei posti di lavoro sono il centro delle nostre preoccupazioni quando si tratta dell’attuale crisi economica. E sono solo le multinazionali con le ciminiere, come GM e Boeing, che hanno trasferito massicciamente all’estero il lavoro dagli Stati Uniti ai porti del manodopera a basso prezzo, ma anche quelle dell’industria della conoscenza. Sicuramente la percentuale maggiore di aziende che hanno una strategia di delocalizzazione appartiene alle industrie della tecnologia dell’informazione e dello sviluppo di software. Ma mentre HP e Dell sono state associate con l’outsourcing, le prodezze di Apple nella creazioni di prodotti che catturano l’immaginazione popolare è riuscita a non essere macchiata dalla nomea di azienda esportatrice di manodopera.

Apple e l’outsourcing Apple ha guadagnato oltre 400.000 dollari di profitti per dipendente nel 2011, più di Goldman Sachs o Exxon. Me negli ultimi anni ha creato pochi impieghi nella sua sede e nel suo principale mercato, gli Stati Uniti. Secondo un articolo del Time: “Apple ha assunto 43.000 persone negli USA e 20.000 all’estero, una piccola frazione degli oltre 400.000 lavoratori statunitensi di General Motors negli anni ‘50, o delle centinaia di migliaia di General Electric negli anni ‘80. Sono molte di più le persone che lavorano per gli appaltatori di Apple: altre 700.000 persone progettano, costruiscono e assemblano gli iPad, gli iPhone e gli altri prodotti di Apple. Ma nessuno di loro lavora negli Stati Uniti. Invece, lavorano per compagnie straniere in Asia, in Europa e altrove, in fabbriche a cui quasi tutti i progettisti di elettronica si affidano per realizzare le merci.

La genesi della crisi finanziaria, infatti, non può essere separata delle azioni strategiche degli attori dell’”economia reale” come Apple. La loro prontezza ad abbandonare la sua base e il mercato interno è stata una delle cause centrali della crisi. La creazione di credito fu il collegamento tra questa tendenza nell’economia reale e la dinamica delle finanze. Prima di esaminare questo legame, è importante analizzare alcuni fatti che riguardano l’outsourcing.

Si stima che siano 8 milioni i posti di lavoro nel settore produttivo degli Stati Uniti ad essere stati eliminati tra il giugno del 1979 e il dicembre del 2009. Un report descrive il fosco processo della deindustrializzazione: “Molto prima del collasso bancario del 2008, le industrie statunitensi più importanti per la produzione di macchine utensili, di elettronica di consumo, parti per automobili, elettrodomestici, mobili, strumenti per le telecomunicazioni e di molti altri beni che in altri periodi avevano dominato il mercato globale soffrirono il proprio collasso economico. Gli impieghi nella produzione passarono a 11,7 milioni nell’ottobre del 2009, una perdita di 5,5 milioni – il 32 per cento – di tutti gli impieghi nella produzione dall’ottobre del 2000. Era dal 1941 che il settore produttivo impiegava meno di 12 milioni di persone. Nell’ottobre del 2009, c’erano più persone ufficialmente disoccupate (15,7 milioni) di quelle occupate nella manifattura.”

Delocalizzazione e stagnazione nell’economia reale

Questa devastazione nel settore produttivo, che comportò l’eliminazione di una notevole quantità di impieghi ben pagati, svolse un ruolo centrale nella stagnazione delle entrate, dei salari e del potere d’acquisto negli Stati Uniti. Nei tre decenni precedenti al collasso del 2008,segnala Robert Reich, il salario dello statunitense tipico è aumentato di poco, ed è poi diminuito negli anni ’00.

La stagnazione dei redditi pose una minaccia sia alle imprese che allo Stato. Alle prime, la lenta crescita della domanda si tradusse in una sovrapproduzione e, pertanto, nella diminuzione dei profitti nei mercati chiave delle grandi aziende. Per lo Stato, fece comparire lo spettro dell’aumento dei conflitti sociali e dell’instabilità.

La minaccia di un mercato stagnante fu schivata– temporaneamente – dal settore privato mediante un forte aumento nella creazione di credito da parte delle banche, che abbassarono i requisiti per la concessione dei prestiti e agganciarono milioni di consumatori con una sequela di carte di credito, mentre una gran parte dei fondi prestati venivano dalla Cina e da altre economie asiatiche esportatrici di capitale. Il credito tenne elevati i consumi e alimentò il boomnegli anni ’90 e nella prima meta del primo decennio del XXI secolo.

Washington tentò di evitare il risentimento politico adottando una strategia di “espansione populista del credito“, rendendo facile contrarre mutui per le case anche da parte di persone a basso reddito attraverso Freddie Mac e Fannie Mae.

La stabilità politica non fu l’unico risultato di questa strategia; fu accompagnata da maggiori rendimenti per il capitale speculativo. Come ha scritto Raghuram Rajan: “Mentre il denaro del governo fluiva al finanziamento o al sostegno degli alloggi per le persone a basso reddito, il settore privato si unì alla festa. Dopo tutto, sapevano fare i conti, e in molti capirono che la compulsione politica che reggeva le azioni del governo non sarebbe sparita rapidamente. Con l’appoggio delle agenzie di rating, i mutui subprime divennero liquidi, e le abitazioni a basso costo salirono di prezzo. Basso rischio e alti ritorni: cosa potrebbe desiderare di più il settore privato?

La connessione tra Apple e Cina

La cooptazione delle masse nell’espansione del credito collassò con l’implosione finanziaria del 2008. oggi, milioni di statunitensi si trovano senza lavoro e con debiti pesantissimi. Ma, come indica l’elevato tasso di disoccupazione, l’esportazione di posti di lavoro continua senza tregua, e la Cina rimane la destinazione preferita.

Parte del motivo per cui la Cina meridionale conserva il primato come luogo di investimenti è dato dal fatto che i fornitori cinesi, con i sussidi dello Stato, hanno formato una catena di strutture produttive insuperabile, riducendo radicalmente i costi di trasporto, facilitando il rapido assemblaggio di un iPad o iPhone, riuscendo così a soddisfare in tempo record ai clienti in un mercato altamente competitivo.

Steve Jobs, il leggendario fondatore di Apple, ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione di questo sistema. I dirigenti di Apple hanno raccontato del suo desiderio di uno schermo di vetro per l’iPhone che non si rigasse, e che lo volesse in “sei settimane“. Dopo che un dirigente abbandonò quella riunione, dice il Times, prenotò un volo per la Cina. “Se il signor Jobs voleva una cosa perfetta“, ricorda, “non c’era un altro posto dove andare.”

La padronanza dell’economia della catena di produttiva è, comunque, solo una delle ragioni per le quali Jobs e Apple preferivano la Cina. Il motivo centrale continuava a essere la manodopera a basso costo disciplinata dallo Stato. Ciò che emerge dall’articolo del Times sulle pratiche di Apple è che, nonostante le sue velleità di responsabilità sociale, Apple tratta con durezza e consente ai suoi appaltatori “solo magri profitti “. Pertanto, “i fornitori tentano di risparmiare tutto il possibile, di sostituire prodotti chimici costose con alternative a basso prezzo, o pressare i dipendenti per farli lavorare più rapidamente e più a lungo tempo. L’unico modo per fare soldi lavorando per Apple è immaginarsi un sistema per rendere tutto più efficiente o più economico“, ha detto un dirigente di un’azienda che ha aiutato a portare l’iPad sul mercato: “Poi torneranno l’anno successivo, costringendoci a un taglio di prezzo del 10 per cento.” Non c’è da sorprendersi che una serie di fornitori di Apple siano stati piagati dagli incidenti, esplosioni comprese, poiché, come descritto da un ex un antico dirigente di Apple, “se si restringono i margini, li stai obbligando a ridurre la sicurezza.”

Le conseguenze di una forte riduzione dei costi non sono state soli gli incidenti, ma anche le proteste dei lavoratori. Alcuni di loro hanno deciso tragicamente di suicidarsi, come è avvenuto nel 2009 e nel 2010 in Foxconn, un gigantesco appaltatore tristemente celebre, mentre altri sono ricorsi ad iniziative spontanee che venivano represse violentemente dall’azienda e dallo stato.

I prodotti di Apple sono i migliori della categoria, e si distinguono per design, costruzione, personalità o “anima”. Ma la marcia della compagnia verso la supremazia nel mercato è stata ottenuta grazie a un costo tremendo sofferto dai lavoratori statunitensi e cinesi. L’iPad e l’iPhone sono opere maestre di ingegneria. Ma questi prodotti non sono semplicemente materiali. Incarnano anche le relazioni sociali della produzione. Sono l’espressione del matrimonio tra un’impresa esigente che si è trasformata nell’azienda all’avanguardia del nostro tempo e quello che Slavoj Zizek ha chiamato il “capitalismo di stato ideale” dell’attualità: la Cina, con la libertà che offre al capitale assieme a una capacità senza pari di disciplinare la manodopera. Non si può che essere d’accordo con Jared Bernstein, un ex consigliere economico della Casa Bianca, quando disse al Times: “Se [il sistema di Apple] è il culmine del capitalismo, c’è da essere preoccupati.”

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Fonte: The Apple Connection

01.02.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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